50 anni fa la fine dei The Beatles. Ricordi, dischi e concerti

Di Antonio Pellegrini

10 aprile 1970, Paul McCartney diffonde un comunicato stampa in cui dichiara di non fare più parte dei Beatles. L'anno precedente, John Lennon ha già annunciato in segreto ai suoi compagni che lascerà il gruppo. Il 31 dicembre 1970 Paul presenta un'istanza formale di scioglimento della partnership contrattuale dei Beatles. Si conclude così l'avventura della band più importante nella storia della musica leggera.

Cinquant'anni dopo, quando tanto tempo è trascorso dalla fine di quell'esperienza, e si può dare ormai per accertata la morte del rock, è un dato assodato che senza i Beatles tutta la musica successiva sarebbe stata molto diversa.

Ricordare in poche righe la band dei quattro Baronetti di Liverpool non è possibile, e riportarne brevemente la storia vorrebbe dire scrivere banalità arcinote. Mi piacerebbe allora parlare dei “miei Beatles”, quelli che hanno cambiato la mia vita, facendomi scoprire - in una semplice occasione d'infanzia - la Musica, e che mi hanno accompagnato, talvolta in prima fila, altre volte dalle più nascoste retrovie, nella scoperta di quello che per me è il genere musicale più bello del mondo: il British rock.

Il mio primo approccio con un ascolto consapevole avviene durante gli ultimi anni delle scuole elementari, intorno al 1985. In quegli anni spesso trascorro i pomeriggi a casa di una compagna di classe. I suoi genitori sono più moderni dei miei, ed hanno in casa uno dei primi computer famigliari dell'epoca: il mitico Commodore 64. Il papà della bimba ci fa spesso giocare col computer. Un giorno, ci mettiamo a smanettare con un videogame musicale, tramite il quale in qualche modo si compone musica. C'è una demo di questo software, che vuole dimostrarne le potenzialità. Appena premuto il tasto “play”, ho una sorpresa: pur essendo la canzone suonata da strumenti elettronici, prodotti per di più da un semplice Commodore 64, esce fuori una melodia che mi trasmette emozione. È la prima volta che mi succede una cosa del genere, così chiedo al padre della mia amica di che canzone si tratti. È "Hey Jude" dei Beatles.

Poco dopo, per andare a fondo con questo primo innamoramento musicale, cerco con i miei genitori un'audiocassetta del gruppo, che ovviamente deve racchiudere “Hey Jude”. Acquisto la raccolta "20 Greatest Hits", che contiene anche altri pezzi che mi colpiscono indelebilmente: "I Want to Hold Your Hand", "A Hard Day's Night", "Eight Days a Week", "Ticket to Ride", "Help!", "We Can Work It Out", "Paperback Writer", "Let It Be" e "The Long and Winding Road".

Gli anno passano veloci e, durante gli anni dell'adolescenza, mi dedico all'acquisto compulsivo di capolavori del passato, senza barriere di generi. I dischi dei Beatles che mi segnano maggiormente sono “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band” e “Revolver”.

Nel maggio 1997, sulla mia rivista musicale preferita,“MUSICA! Rock & Altro”, esce un articolo a firma Riccardo Bertoncelli, che, a 30 anni dalla sua pubblicazione, racconta il capolavoro beatlesiano “Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band”.

Così scrive Bertoncelli: «Riuscite a immaginare cosa significò l'uscita di “Sgt. Pepper, il 1° giugno 1967? No che non ci riuscite, per quanti sforzi facciate. Non fu solo “un evento”, non fu banalmente “un successo”. Fu una pietra miliare, ecco quanto, una linea di confine. Prima c'è il mondo vecchio, la civiltà dei 45 giri, l'idea convenzionale di musica e canzone: dopo c'è lo spazio infinito, ci sono luci, colori, possibilità».

Non finisco di leggere queste parole illuminate che l'album è già nelle mie mani. Al di là delle ben note sonorità orientaleggianti e della ricerca nei testi, mi colpiscono l'efficacia musicale dei pezzi, gli arrangiamenti complessi, la tristezza di fondo comunicata da alcuni brani, e la capacità di trasmettere suggestioni dell'insieme. 

Nel 1998, ancora grazie a un articolo di "MUSICA! Rock & Altro”, scritto da Enrico Sisti, scopro anche “Revolver”, il capolavoro beatlesiano del 1966.

Sisti ne parla così: «14 canzoni che ancora oggi vengono considerate la “summa teologica” dei più grandi inventori di musica del nostro tempo... Alternavano strofe, stravolgevano canovacci, esaltavano nuovi strumenti e supponevano arrangiamenti innovativi, spesso inauditi... Tra “For No One” e “Here There And Everywhere” si precisò quella “travolgente semplicità” che sarebbe diventata il tessuto connettivo dei futuri misteri musicali. Una spaventosa dimostrazione di forza vitale. E di inesorabile superiorità».

Per le mie orecchie di giovane ascoltatore onnivoro, il disco, nonostante il marcato sound 60's, risulta ancora attuale, perché ha un'orecchiabilità che trascende il tempo. 

Per le già dichiarate ragioni di età non ho ovviamente mai visto i Beatles dal vivo. Ho però assistito ad un concerto di Paul McCartney a Milano nel 2011. Dedico le ultime righe di questo articolo ad un breve ricordo di quella serata.

Paul McCartney live a Milano 27/11/2011

Domenica 27 novembre 2011. Alle 16.30 parto da Genova con la macchina e in autostrada c’è una nebbia pazzesca. Alle 19.30 sono al Forum di Assago. Fuori c’è una bella coda, divisa in due lunghe file, la temperatura è bassa, e c’è talmente tanta nebbia che quasi non si vedono distintamente le altre persone in coda.

Finalmente entro dentro e dopo un po’ inizia il concerto. La scaletta è molto lunga, Paul suona tanti pezzi dei Beatles, alcuni dei Wings, e altri della propria carriera solista. Ha ancora “quella” voce, probabilmente è ancora “quella” persona, un po’ piacione – in fondo lo è sempre stato - ma con il dono naturale di scrivere canzoni meravigliose. Vederlo al piano cantare e suonare, come nel video di “Let it be”, è una roba da brividi. Sembra incredibile, ma anche oggi, come negli anni '60, ci sono alcune ragazze che svengono durante lo show...

Arriva il turno di “All my loving”, molto fedele all’originale. Il merito va anche alla band che accompagna Paul,  sebbene, ad essere maligni, potrebbe ricordare una tribute band. È il momento di “The long and winding road” con quelle orchestrazioni, quel piano, e quella melodia, in grado di mettermi ko. Poi ci sono anche “I will” e “Blackbird”, con la chitarra acustica e la loro delicata espressività.

La prima parte del concerto si conclude con “Let it be”, “Live and let die” e “Hey Jude”. Non riesco a farmi venire in mente un autore che possa fare tre propri pezzi di seguito di un livello simile. Poi, quasi alla fine, “Yesterday” e una bella versione rock di “Helter Skelter”.

Paul ha ancora energia da vendere, e tiene il palco quasi come un ragazzino. Molto spazio è dato anche alle scenografie spettacolari.  Ad ogni modo, lo show è incentrato sul suo essere un grande autore, con una voce inconfondibile, almeno quanto il sound di pianoforte e gli arrangiamenti d'epoca.
Finita la magia, torno a casa avvolto in una fitta nebbia, che in qualche modo mi ha permesso di fare un viaggio temporale nel mio passato, mentre nella mia mente risuonano, ancora una volta, le note di “Hey Jude”.

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