Introduzione
di Luca Marola
Direttore della collana La Raccolta
Nel 2020 poco più di 2500 persone hanno, consapevolmente e pubblicamente, disobbedito ad una legge, quella sugli stupefacenti, tra le più repressive dell’Europa occidentale, coltivando una piantina di cannabis ed autodenunciandosi attraverso i social.
Quest’iniziativa di disobbedienza e dialogo con le Istituzioni è, ad oggi, la disobbedienza di massa più partecipata nella storia della Repubblica italiana ma, nonostante questo, ben poca attenzione ha ottenuto dai media mainstream.
C’è un intero mondo sotterraneo di donne e uomini giovani e meno giovani, appartenenti a diverse categorie - si stima che siano più di 100.000 persone solo in Italia - che ha deciso di recidere ogni rapporto con la criminalità imposto finora dallo Stato attraverso il proibizionismo come unica forma di approvvigionamento di cannabis, producendosi in proprio il fabbisogno necessario.
Lo Stato italiano, invece, ha deciso che la “Guerra alla droga” debba essere guerra al consumo di cannabis e guerra ai coltivatori di piantine, come si desume dai dati annuali della Relazione annuale al Parlamento sulle droghe e, di fatto, ha deciso di consegnare il monopolio delle sostanze illegali alla criminalità organizzata. Sono ben 16 miliardi di euro i proventi che annualmente lo Stato, attraverso le sue folli leggi contro le droghe, regala alle mafie.
In un Paese diverso le oltre 100.000 persone che si coltivano a casa la propria piantina verrebbero premiate dallo Stato nella “Giornata contro le mafie” per la loro decisione di non foraggiare la criminalità organizzata ma qui, ancora, funziona al contrario.
Per questa ragione iniziative pubbliche e partecipate come Io coltivo sono ancora necessarie: per mettere in risalto le contraddizioni del proibizionismo, mettere in luce un fenomeno volutamente ignorato come l’autoproduzione e dare dignità alle migliaia di consumatori non problematici. E queste iniziative diventano ancor più interessanti se a riuscire a coinvolgere migliaia di persone in un atto di disobbedienza è un gruppetto di attivisti che starebbe largo in un monolocale.
Questo tipo di attivismo, è bene ricordarlo, non nasce casualmente e non è frutto di un’intuizione estemporanea. Serve dedizione e sacrificio personale, conoscenza puntigliosa della storia dell’antiproibizionismo italiano, delle dinamiche politiche ed istituzionali, della comunicazione contemporanea e della disobbedienza civile, nobile ed estrema pratica di iniziativa politica spesso, soprattutto negli ultimi tempi, svilita come un semplice “me ne frego delle regole”.
E non è un caso se i registi di Io coltivo abbiano frequentato la “scuola radicale” ed abbiano avuto come maestro Marco Pannella.
L’autore di questo diario, Matteo Mainardi, è stato il volto pubblico della disobbedienza civile: coltivava la sua piantina come tutti gli altri partecipanti, guidava settimanalmente i disobbedienti nelle pratiche di coltivazione attraverso tutorial sui social, coordinava le iniziative pubbliche e ha portato a compimento la sua personale disobbedienza facendosi sequestrare la pianta e pretendendo un processo.
Questo “diario di una disobbedienza” ripercorre, settimana dopo settimana, le tappe principali della più importante iniziativa politica antiproibizionista degli ultimi tempi e, allo stesso tempo, rappresenta un buon manuale di autocoltivazione di cannabis per principianti.
Le tecniche di coltivazione, per la prima volta, sono state al servizio dell’iniziativa politica, così come la pratica condivisa da molti di coltivarsi le proprie piantine in barba alla legge è diventata azione pubblica attraverso il proprio ed individuale “coming out”. Il seminare, fertilizzare, innaffiare diventano atto di denuncia collettiva contro la follia del proibizionismo e delle leggi repressive italiane.
Questo volume è soprattutto il ringraziamento alle 2500 persone che hanno deciso di farsi protagonisti politici mettendo in gioco la propria fedina penale per dare corpo ad un’iniziativa che altrimenti non sarebbe esistita; è un omaggio a chi, disobbedendo, ha fatto del proprio “vizio” e della propria e segreta coltivazione un’istanza politica e una lotta per i diritti di tutti e a chi, invece, ha coltivato per la prima volta per condividere una lotta che ritiene politicamente giusta.
Ho deciso di far pubblicare questo libro tra i primi della collana La Raccolta perché ritengo che quella raccontata nelle prossime pagine sia una storia che meriti di essere ricordata all’interno della lunga storia dell’antiproibizionismo italiano grazie all’unicità del metodo di lotta e all’alta partecipazione che ha generato.
È la storia di qualche migliaio di persone che hanno deciso di rendere pubblica la commissione di un proprio crimine perché, come diceva Marco Pannella, “non c’è crimine peggiore che restarsene con le mani in mano”.