La “Buona Fede” nell'essere Banksy

Di Marco Porsia

Pochi giorni fa, il 14 settembre, è stata emessa la sentenza di cancellazione del marchio UE

registrato nel 2014 dalla società Pest Control Office, che è legata all’artista Banksy, per numerose classi merceologiche; la cancellazione è stata richiesta da una società, la Full Color Black, che commercializza cartoline che raffigurano il marchio in questione. La sentenza può essere appellata sino al 14 novembre. La domanda di registrazione, depositata di fatto per cercare di impedire l’uso da parte di terzi della celebre immagine, era di fatto il primo atto di sostanziale riconoscimento da parte di Banksy dell’esistenza dei diritti di proprietà intellettuale.

Un piccolo inciso; mi occupo professionalmente di proprietà intellettuale, ed in particolare di diritti di proprietà industriale, da poco meno di trent’anni, ma questo articolo non vuole essere “il parere dell’esperto”. Desidero piuttosto sfruttare le mie competenze per portare il ragionamento su sentieri decisamente più affascinanti rispetto alle considerazioni in tema diritto, che lascio ai miei colleghi più meritevoli.

Vorrei in particolare soffermarmi sulla norma su cui si basa la revoca, che è l’art. 59(1)(b) del Regolamento del Marchio UE: “Su domanda presentata all'Ufficio o su domanda riconvenzionale in un'azione per contraffazione, il marchio comunitario è dichiarato nullo allorché: […] b) al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente ha agito in malafede”.

Quindi, il richiedente, ossia la società che gestisce i diritti dell’artista, ha effettuato secondo l’EUIPO il deposito della domanda di registrazione in malafede, dato che, per dichiarazioni rilasciate dagli stessi rappresentanti della società, quel deposito, e la successiva apertura di un negozio in cui venivano commercializzati gadget recanti il marchio, erano atti rivolti al mero conseguimento della registrazione, e così del diritto di esclusiva. Il principio per il quale Banksy, ovvero la sua società, vengono ritenuti in malafede discende dalla considerazione che il deposito di un marchio al solo scopo di impedirne ai terzi l’uso è di fatto un intralcio alla funzione stessa del marchio, che è un segno distintivo, ormai di svariate tipologie, atto a contraddistinguere beni o servizi che vengono posti sul mercato.

Conseguentemente, chi deposita una domanda di marchio è normalmente orientato ad entrare con i suoi prodotti sul mercato, e quindi riconosce sia la funzione del mercato che quella del marchio. Banksy invece ha sempre inteso il mercato, così come la proprietà intellettuale, come un nemico, o peggio, come qualcosa di assolutamente indifferente, qualcosa di cui non tenere conto. L’idea di registrare un marchio deve essere stata, non troppo scorrettamente, suggerita all’artista allo scopo di superare l’impossibilità di rivendicare l’opera senza rivelare la sua identità.

La norma italiana, in questo senso dice “Chi abbia rappresentato, eseguito o comunque pubblicato un'opera anonima, o pseudonima, è ammesso a far valere i diritti dell'autore, finché non sia rivelato.” (Art. 9(1) LDA (legge No. 633/1941)). In questo caso, siccome chi per primo ha “pubblicato”, ossia letteralmente reso accessibile al pubblico l’opera, è Banksy stesso, non esiste di fatto un garante certo dell’identità dell’artista pseudonimo. Ben diversa è la situazione in campo editoriale, dove è l’editore a farsi garante dell’esistenza dell’autore anonimo o pseudonimo, ed a legittimarne la paternità dell’opera.

Tuttavia, il problema di Banksy è proprio l’aver dato credito al sistema della proprietà intellettuale che aveva per tanto tempo ignorato, ed il problema più grosso è che l’ha fatto cercando di eluderne le regole. Adesso il sistema gli dice che è in malafede, che se vuole attenzione deve rivelarsi, che se vuole un marchio deve utilizzarlo. Come diceva un mio amico giocatore “Le regole della roulette sono fatte per fare vincere il banco”. Il problema sta nello scegliere o meno di giocare alla roulette.

Sulla questione della malafede in relazione al deposito di un marchio, mi sorge invece  qualche grosso dubbio. Banksy ha cercato di “fottere il sistema” con le regole del sistema, e (per ora) ha perso. Ma dall’altra parte, quanta “buona fede” c’è nel deposito della maggioranza dei marchi attualmente? Il marchio fino agli anni ’90 era riflesso indissolubile dell’azienda, e non poteva essere ceduto se non con il ramo di azienda a cui apparteneva. Poi vennero le nuove leggi, ispirate dagli squali della finanza, che avevano intuito il potenziale di beni immateriali di durata praticamente eterna, ai quali poteva essere associato il valore stesso di tutta una attività. Nasceva il concetto di BRAND, che è qualcosa di più e di meglio di un semplice marchio, è una sorta di sigillo magico che schiude i cuori e le tasche dei consumatori.

In questi marchi, generalmente, c’è davvero poca “buona fede”. Si tratta, tanto per fare l’esempio del mondo della moda, di aziende che realizzano il prodotto in estremo oriente tramite fornitori che contano su mano d’opera a costo risibile, con l’obbiettivo di rifornire il mercato di articoli di qualità scadente e con durate estremamente limitate, così da alimentare la circolazione di nuova merce. Si paga il racconto della qualità al posto della qualità. Si acquistano prodotti “made in Italy” che vengono confezionati qui ma prodotti altrove. Si giustifica il prezzo in virtù di un nome che spesso rappresenta l’unica differenza, insieme al prezzo stesso, tra prodotti del medesimo settore. Certamente, tanti marchi fanno ancora riferimento a valori più antichi e austeri, ma una larghissima parte di segni distintivi è destinata a implementare il turbine di segnali e stimoli che ci martella quotidianamente al grido di “COMPRA! COMPRA! COMPRA!”

Da questo punto di vista, trovo molto più in buona fede Banksy che, quasi ingenuamente, ha pensato di combattere il sistema, cioè parte di quello che lui intende come “il Male”, con il deposito di un marchio, ossia uno strumento del Male. Ha perso la sua battaglia nel momento stesso in cui a cominciato a dare retta, ad ascoltare il Male.

Difficile da ascoltare il Male, perché ti obbliga a scegliere. O ti volti dall’altra parte, o ti tocca combatterlo, ma le armi sono le sue.

Ma questo l'artista lo sa, tanto è vero che ha perso una battaglia, mica la guerra. Pest Control Office ha altri 37 marchi registrati tra Europa, USA e Australia. Ma allora se ci investe così tanto, non è che ci crede anche Banksy nei diritti di proprietà intellettuale?

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