Si può essere giornalisti e intellettuali, si può fare informazione e allo stesso tempo contribuire, con le proprie parole, a formare l’individuo che ti ascolta o ti legge. Da quando ascolto, ogni lunedì su Radio Radicale, il Notiziario antiproibizionista di Roberto Spagnoli, la sensazione che ho è proprio questa, di essere informato e allo stesso tempo nutrito; nutrito nella mia necessità di avere contezza di cosa accade quando non si vuol vedere, quando non si vuol sapere, quando non si vuol decidere. E Roberto Spagnoli forse ha gioco facile – un po’ come gioco facile ho io quando mi occupo di criminalità organizzata – perché la sostanza in cui affonda le unghie, gli occhi e tutto sé stesso, è drammatica e, per questo, profondamente letteraria. Avete letto bene: letteraria.
Il Notiziario antiproibizionista, oltre ad analizzare dati, freddi numeri, racconta storie, storie di vita quotidiana, storie che tutti abbiamo incontrato, ma che abbiamo più spesso preferito lasciar andare. Storie di tossicodipendenza “curata” in carcere: un ossimoro. Storie di malati gravi impossibilitati nell’accesso ai medicinali a base di cannabis, illegale per tutti, indispensabili ma indisponibili per loro. Marco Pannella ha spiegato bene perché il proibizionismo, ogni proibizionismo, sia destinato a fallire, sempre; e lo ha spiegato con poche, limpide parole che ciascuno di noi facilmente verificherà nella propria vita di tutti i giorni: «Se tu vuoi vietare l’esercizio di una facoltà umana praticata a livello di massa, tu fallirai e sarai costretto all’illusione autoritaria del potere che colpisce il “colpevole” e lo colpisce a morte».
E le droghe sono davvero praticate a livello di massa e, se illegali, davvero colpiscono a morte. Roberto Spagnoli ha sempre avuto il merito – per me è un merito indiscusso – di riportare chi lo segue alla realtà. Qualunque fosse la contingenza politica, la sua è sempre stata una voce al servizio della realtà, e la sua rubrica una finestra sul mondo vero, quello che spesso si preferisce ignorare perché di consolatorio non ha nulla, perché non offre vie d'uscita che non dipendano dal lavoro duro, dall’impegno reale e dalla conoscenza frutto di studio e approfondimento.
“Il tempo è scaduto e la realtà non aspetta” è una frase che, declinata in vario modo, ricorre spesso nelle Note antiproibizioniste. È un'espressione che sento molto affine perché avverto la necessità di azione, un’azione che non riuscirebbe a essere risolutiva, certo, ma che darebbe almeno la speranza di un inizio, il respiro di un passo compiuto. E invece chiunque invochi un cambiamento, chiunque delinei la possibilità di un'azione che sia concreta diventa Kate Dibiasky, la dottoranda in astronomia di Don’t look up che scopre una cometa in rotta di collisione con la terra, una cometa di dimensioni tali da poter causare l’estinzione del genere umano. È incredibile come nel film il vero dramma non sia la presenza della cometa, ma la sordità di tutti al racconto del dramma imminente. Non sgomento o incredulità, non panico o disperazione, ma indifferenza. Anzi peggio, le solite dinamiche che vediamo sui social media: irrisione della competenza, dileggio della serietà; e sui media tradizionali: spettacolarizzazione fino a suscitare l’urlo scomposto di chi ragiona partendo da numeri, vettori e statistiche e che, di fronte alle masse sorde a ogni avvertimento, non ha altra scelta che la follia.
Verso il racconto di come agiscono le droghe nelle nostre comunità si ha la stessa attitudine: indifferenza, amnesia, scetticismo, moralismo, paternalismo, irrisione del parere di chi studia dati, dinamiche economiche, ricadute sanitarie. Si dirà, troppa sofferenza perché si riesca a farsene carico. Rispondo: bisognerà che la politica smetta di tirare in ballo, di fronte a ogni dibattito sulla legalizzazione delle droghe, “i nostri ragazzi” perché a quegli stessi ragazzi poi capiterà di transitare nelle carceri italiane che tutto sono tranne che luoghi adatti alla cura e alla riabilitazione.
Connesso al dibattito sulla legalizzazione delle droghe, di tutte le droghe, anzi direi in un rapporto di profonda reciprocità, c’è lo studio delle organizzazioni criminali, la loro crescita, i loro affari. Non voler vedere tutto questo non è solo irresponsabile, ma criminale.
La mia speranza è che questo libro possa essere letto prima di tutto da ragazze e ragazzi, perché possano decidere e scegliere da che parte stare, conoscendo. Che possa essere letto dai loro genitori, da professoresse e professori, che riusciranno a tradurre le parole di Roberto Spagnoli in legittime pretese nei riguardi di una politica codarda. Droga, carceri, criminalità organizzata, tossicodipendenza, disagio sociale e malattia sono parte di un unico dramma, il dramma del disinteresse, dell’accidente politico contingente che procrastina sempre un dibattito serio sulle droghe.
In una delle ultime Note antiproibizioniste che ho ascoltato, Roberto Spagnoli ha ricordato la frase di Albert Camus che forse più di ogni altra ha plasmato il mio rapporto con la politica, le mie aspettative, le mie (legittime) pretese e quindi anche il mio sconforto e la mia disaffezione: «La grande iattura della nostra epoca è proprio che la politica pretende di fornirci insieme un catechismo, una filosofia completa e persino, a volte, un'arte d'amare. Ma il ruolo della politica è far funzionare le cose, non risolvere i nostri problemi interiori».
E se Walter De Benedetto, affetto da una grave forma di artrite reumatoide, non può avere accesso alla cannabis terapeutica e, costretto a coltivarla da sé, finisce sotto processo; se Antonio Raddi, tossicodipendente, finisce in carcere, si ammala, perde 25 chili in pochi mesi e muore davanti all'occhio assuefatto di chi avrebbe dovuto vigilare sulla sua salute, significa che le cose non funzionano. Non serve un catechismo, una filosofia completa e un’arte da amare, ma che le cose funzionino. Il proibizionismo in materia di droghe è una piaga contro cui bisogna battersi. Grazie allora a Roberto Spagnoli che lo fa da anni in radio con la sua voce e adesso anche qui, con questo libro prezioso.