Storia della copertina di un libro

(e di come le copertine dei libri non ne cambino la storia)

Di Marco Porsia

I libri sono nel mio immaginario da sempre, fin da quando ho memoria di me. Il libro è un prodotto che, tipicamente, non può essere giudicato dall’acquirente prima di consumare l’acquisto, perché il giudizio si può esprimere soltanto a lettura ultimata. E difficilmente il mercato del libro può fondarsi su quel ben limitato pubblico che prima legge i libri, magari prendendoli in prestito in biblioteca, e poi li compra. Il libro si può guardare prima dell’acquisto, si può toccare e magari anche annusare. Ma non lo si può leggere, al massimo si può sfogliare, però per poco tempo e con molta attenzione.

A che serve la copertina?

La copertina presenta il libro al potenziale lettore, gli offre informazioni sommarie, magari anche accurate ma decisamente sommarie. Racconta chi è l’autore, di che argomento tratta il libro, il titolo dell’opera, e mostra il marchio dell’editore.

Da almeno mezzo secolo, da quando il libro è un prodotto di mercato diffuso, è entrato in voga l’uso di immagini, o di particolari accorgimenti grafici, che focalizzino l’attenzione del potenziale lettore sul libro. Da allora si parla compiutamente di copertina del libro. La copertina era originariamente trattata come la confezione del prodotto libro, ne recava il prezzo e il codice prodotto (codice EAN), da qualche decennio leggibile mediante i sistemi lettori ottici.

Oggi però, con l’avvento del mercato online, che nel libro ha un’importanza trainante, la copertina è soprattutto identificata con il fronte della copertina, ossia con la terza, o quinta, parte di una copertina vera. In quel fronte, i teorici del mercato librario vorrebbero concentrare tutte le possibilità di appeal di un prodotto, che altrimenti dovrebbe essere confinato in chissà quali paludi di anonimato letterario.

Le nostre copertine

Sono 15 anni che progetto e realizzo, senza particolari capacità, la maggior parte delle copertine di questa casa editrice, e sinceramente nel corso del tempo non ho visto particolari effetti del valore estetico della copertina -  valore che riconosco appieno, visto che sono un profondo amante e attento osservatore della grafica, specialmente laddove legata alla pubblicità - sulla risposta del mercato a determinati prodotti letterari. Faccio un esempio concreto:

Questa copertina è decisamente, inteso anche come oggettivamente, brutta. Senza alcuna attenuante, se non quella dello stile punk latente che contraddistingueva la nostra attività in quell’epoca. Questo però non ha impedito il successo di questo libro. Un successo pieno, che cambiò la nostra storia. Perché il pubblico voleva quel prodotto, e lo avrebbe acquistato anche lo avessimo avvolto nella proverbiale carta da focaccia genovese, quella marrone di una volta, che si chiazzava di unto profumato di olio d’oliva. L’ho realizzata io, e ne sono anche un po’ fiero, per quanto consapevole della sua bruttezza.

Abbiamo sempre avuto, probabilmente sbagliando, la presunzione di voler scegliere uno stile “nostro” per vestire i nostri prodotti. Come ho detto, mi piace la grafica applicata all’editoria, ma esiste uno stile prevalente che non ci ha, e in particolare non mi ha, mai pienamente soddisfatto. Non sono contento se il nostro prodotto fornisce un messaggio visivo allineato al prodotto degli altri. Ne va della nostra unicità.

La prima copertina di "Sing Backwards And Weep"

Così, quando stavamo preparando la scheda promozionale del libro di Mark Lanegan e mi sono imbattuto nella copertina dell’edizione originale, ovvero questa:

non ho potuto fare a meno di notare che, per quanto fosse interessante per stile, simile a quello degli album dei Simple Minds come Sons And Fascination, non si integrava per nulla nella veste grafica che avevamo recentemente scelto per la collana Voices (vedere le copertine di Anima da Spremere, Non puoi cambiarmi, Spider from Mars). Cercai una soluzione alternativa, e proponemmo quella che il mercato librario italiano avrebbe conosciuto come la prima edizione del libro di Mark Lanegan.

Non ero in realtà particolarmente preoccupato dell’aspetto del libro, dato che avevo potuto constatare, nella lettura del testo originale, così come nella traduzione di Lucia Morciano, un caratteristica fondamentale: il libro era ben più interessante della già interessante autobiografia di uno dei personaggi chiave del grunge. Il libro era - è - un gran bel racconto della nostra epoca, vissuto attraverso gli sguardi a tratti allucinati, ma sempre nitidi, di un uomo che aveva appena imparato a mostrare un suo nuovo, ma non inatteso, talento. Il talento di saper raccontare.

Non sempre è ciò che viene raccontato a rendere formidabile un racconto; nella maggior parte dei casi, e questo lo è indubbiamente, è  lo stile del narratore a fare la differenza. Sono molti anni che pubblico storie di rockstar che fronteggiano più o meno bene i loro problemi di abusi di sostanze varie. Non sono quelle narrazioni a rendere unico questo libro, ma quel lavoro lo fa egregiamente l’autore, spogliandosi di ogni autoindulgenza, dipingendosi con la fredda ironia epigona del Burroughs di Junky. Forse questo titolo era stato scelto con saggezza dal nostro precedente direttore editoriale, Federico Traversa, che senza dubbio ha colto nel segno più di una volta selezionando le novità del settore, ma probabilmente lo aveva fatto fidando nella figura dell’autore, piuttosto che nella sua capacità narrativa.

La copertina realizzata voleva rendere omaggio a questa qualità, usando di un’immagine intensa, colta su un palco o in uno studio, che faceva leggere un volto e lo spirito in esso incardinato, come suggeriva Florenskij.

La nuova copertina

A Lanegan però questa copertina non piaceva. Nel suo progetto, tutte le copertine di tutte le edizioni dovevano somigliare a quella originale, anche se poi nella realtà questo assunto è stato spesso disatteso, ma dopo una trattativa. Noi invece ci siamo fidati del nostro istinto, e quando i libri da pubblicare fioccavano  - nel 2021 sono usciti oltre 20 titoli con il nuovo marchio - abbiamo dato per buona, sbagliando, la nostra scelta.

Non sbagliammo certo nei confronti del mercato che gradiva, e gradisce ancora, il prodotto. Ma omettemmo di comunicare per tempo la scelta all’editore americano, e soprattutto all’autore che, infuriato, minacciò la rescissione del contratto. Che cosa vedesse in questa copertina di cui “odiava” la fotografia (parole del suo agente, Rich Machin dei Soul Savers), non mi è dato di sapere.

A me quell’immagine piaceva, e tutt’ora piace, e l’avevo scelta per esprimere i contenuti che avevo trovato nel testo. Che avrebbe potuto recare in copertina soltanto il titolo e il nome dell’autore: il pubblico avrebbe subito provveduto a dargli l’opportuna risonanza.

Abbiamo perciò cambiato la copertina , per renderla il più uniforme possibile ai desideri dell’artista, e per cercare di snaturare il meno possibile il nostro stile di “packaging”.

Il risultato? Ho già letto i commenti più disparati, ma in generale questo non cambia la mia considerazione nei confronti di Mark Lanegan, che ha scritto un libro degno di essere letto, con qualunque veste grafica.

Ma la libertà di chi investe su un prodotto, non parlo dell’opera ma del suo derivato commerciabile, può essere davvero così limitata da chi ne cede i diritti di sfruttamento economico? Appare lecito il fatto che l’editore diventi una sorta di franchisee che deve sottostare alle regole del concedente, dovendo però sopportare in prima persona il rischio di impresa? La domanda deve anche essersela posta la mia controparte contrattuale che, nonostante sia uno dei più grandi gruppi editoriali del mondo, si è comportata con pratica cooperazione per risolvere il problema.

La conclusione? Leggete questo libro, con qualsiasi copertina, perché vi regalerà emozioni vere, vibranti. E trattate bene i cocciuti pigmei come noi, senza i quali i piccoli tesori come questo sarebbero ancora nascosti. E chiedetevi perché in USA questo libro lo pubblica un grande gruppo editoriale e qui da noi ci deve pensare la vostra Officina di fiducia.

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