di Marco Porsia
Tutti vogliono vincere. L’immagine del Vincente, della persona che solca sicura i marosi della vita perché è in grado di dominarli, di volgerli a suo vantaggio, ci perseguita quotidianamente. C’è sempre qualcosa che ci manca per essere vincenti. E il mercato ci consiglia premuroso un bene di consumo in grado di aiutarci, in grado di renderci vincenti. Dall’altra parte, la figura deprecabile del perdente, di colui che non riesce a risplendere, del caduto in disgrazia, del caduto.
Tutto troppo semplice, e così distante da ciò che ci circonda, dalla realtà percettibile. Nella nostra realtà, la vita compete con se stessa, occupa spazi infiniti quanto infinitesimali, si organizza e si demolisce instancabile; non c’è mai un vincitore, un perdente, se non nella fotografia dell’istante, effimera quanto l’istante stesso. Per vincere, prima di tutto bisogna conoscere le regole della competizione, valutare le proprie capacità in relazione a quelle degli avversari, e misurarsi con le une e con le altre.
Per l’umanità in particolare, come per altre forme di vita, vincere è soprattutto vincere insieme, costruire il gruppo che sa vincere, la squadra che funziona, anche se evolve, anche se cambia. Per l’umano, il risultato strettamente individuale è privo di significato, se non si accorda all’elevato rendimento del gruppo. Nessun risultato è accessibile al singolo, se non c’è un intorno adeguato che lo sostiene. La forza della nostra essenza è nell’individualità e nella socialità che si bilanciano, che competono, fino a trovare un adeguato equilibrio. La vera sfida, la vera competizione sta nel cogliere il punto di equilibrio, nel sondarlo, nello spostarlo avanti o indietro in relazione agli obbiettivi del singolo e del gruppo. La nostra debolezza sta nella nostra capacità di valutazione di quell’equilibrio: quanto devo io agli altri? Quanto spetta a me?
Il problema in questo caso, come in molti altri, non è la risposta ma piuttosto la domanda. Perché la domanda a cui dovremmo trovare una risposta è: come funziona, e come potrebbe fare a funzionare meglio? L’umano è fatto per risolvere problemi, e nella storia dell’umanità si ritrovano innumerevoli esempi di soluzioni brillanti a problemi più o meno importanti, ma tutte rivolte a fare “funzionare” qualcosa.
Come abbiamo avuto modo di notare nel recente periodo di confinamento dovuto alla pandemia, o alla sua notizia, quando le cose non “funzionano” si perde tutti, invariabilmente. Certo, qualche ricco plurimiliardario starà approfittando dei saldi, farà incetta di aziende e di brand, ma ha bisogno di tutti noi non ricchi per essere ricco. E se il nostro sistema affonda, affonda anche lui, magari con maggiore agio, ma senza possibilità di risalita, a meno di non riportare a galla anche noi.
Che cosa è quindi “vincere”, se non implica direttamente una relazione con la posizione sociale, se non è rivolto agli altri? Vincere è soprattutto vincere il nemico più grande, ossia la paura, ed in particolare la paura del cambiamento, la paura del divenire, la paura della morte in fondo al divenire. In definitiva, si vince se si riesce a vincere la paura della paura stessa.
Una casa editrice pubblica libri, e libri devono incontrare il mercato e cercarne l’attenzione, e il prodotto deve essere connotato, riconoscibile, con tutte le difficoltà del prodotto libro, che può essere apprezzato soltanto una volta che lo si è consumato, come un pasto o una bevanda – cibo per la mente.
Una casa editrice piccola come noi può “vincere” se compete con i prodotti adeguati, se si insinua nell’immaginario dei lettori con la persuasiva insistenza di chi non può permettersi campagne pubblicitarie infinite. Abbiamo già vinto la paura del cambiamento, e infatti ci trovate cambiati nell’immagine e intendiamo evolvere nei contenuti, che restano il nostro principale prodotto.
Per vincere, abbiamo soprattutto bisogno dei vostri desideri.